Breve storia degli acquedotti romani
La storia degli acquedotti romani ci porta al 300 a.C., un passato molto lontano in cui però, con gli strumenti di allora, si cercò di soddisfare il bisogno di acqua di tutti gli abitanti di Roma garantendone la qualità fino al punto di erogazione. Roma infatti venne costruita vicino al Tevere e per secoli le sue acque, assieme a quella piovana, rappresentarono la principale fonte di approvvigionamento per i bisogni dell’uomo, in primis alimentari e igienici. L’esperienza però aveva evidenziato il grande limite di queste fonti: l’inquinamento, ai tempi soprattutto organico che favoriva intossicazioni ed epidemie che decimavano la popolazione. L’esigenza di trovare acqua di qualità portò i governatori di allora a guardare verso le colline, soprattutto quelle ad est, in cui furono identificate nei secoli diverse sorgenti naturali o fluviali che corrispondevano ai parametri di qualità richiesti allora per assicurare alla popolazione acqua potabile. Le prime sorgenti furono intercettate a 16 Km ad est di Roma, lungo la via Collatina, e per secoli alimentarono l’Aqua Appia, il primo acquedotto romano costruito nel 312 a.C. Da allora ne vennero costruiti altri 10 in ben 500 anni. Oggi solo uno è ancora in funzione, l’Acqua Virgo, mentre tutti gli altri 10 vennero distrutti nei secoli. Rimangono comunque resti di varie dimensioni sparsi dalle antiche sorgenti alla città che hanno permesso di ricostruire, insieme agli scritti di Vitruvio e Frontino, la mappa della distribuzione dell’acqua a Roma fino ai tempi dell’Impero. Tra questi ricordiamo l’Aqua Tepula chiamato così perché scorreva acqua tiepida con una temperatura sempre intorno ai 16-17 gradi, l’Aqua Claudia costruito dall’Imperatore Claudio e ricordato come uno dei più monumentali, assieme all’Anio Novus con cui si mescolava e che rappresenta l'opera più imponente dell'architettura idraulica romana con i suoi 87 km di lunghezza, di cui ben 14 su arcate, e una portata di 200.000 metri cubi di acqua al giorno. I Romani fecero costruire i loro acquedotti anche in numerose colonie del loro vasto impero. Tra questi, l’acquedotto di Catania in Sicilia e l’acquedotto del Triglio che serviva Taranto ma ci sono evidenze anche oltre i confini italiani. Il Ponte del Gard in Francia e l’acquedotto di Segovia in Spagna sono tra gli esempi di acquedotti costruiti nell’Impero romano che ancora oggi sopravvivono a testimonianza di una delle più amate opere pubbliche dell’antica civiltà romana. Adesso vediamo come nascevano gli acquedotti romani tra analisi delle sorgenti, canali, arcate e tubi di distribuzione in città!Come venivano scelte le sorgenti degli acquedotti romani
Le sorgenti dei principali acquedotti romani erano quasi tutte poste a est, nelle colline in prossimità di Roma fino a circa 70 Km ma più in alto, per garantire all’acqua di scorrere verso la città. Oltre che per la pendenza, la scelta della posizione della sorgente doveva rispondere a determinate caratteristiche, ovvero dovevano essere:- Limpide e pure;
- Inaccessibili a inquinanti;
- Prive di muschio e di canne.
- purezza
- sapore
- temperatura
- contenuto di sali minerali a cui erano attribuite potenziali proprietà medicamentose
- capacità di corrosione
- effervescenza
- viscosità
- presenza di corpi estranei
- punto di ebollizione.
La struttura degli acquedotti romani: dalla sorgente ai “rubinetti”
Gli acquedotti romani dalla sorgente agli sbocchi sfruttavano un principio molto semplice per far arrivare alla città di Roma l’acqua di cui aveva bisogno, la gravità. Ecco perché le sorgenti venivano scelte nelle colline, per poter sfruttare la forza gravità naturale data dalla pendenza. Nello specifico, i canali o specus che portavano acqua all’acquedotto erano divisi in tratti in continuità e ogni tratto era ad un’altezza leggermente superiore a quello successivo e inferiore a quello precedente. In tal modo si manteneva sempre una certa pendenza che si aggirava intorno al 2%. Per calcolare la pendenza, venivano utilizzati principalmente 3 strumenti:- La livella ad acqua simile alla moderna bolla utilizzata ancora oggi;
- Il chorobates, una sorta di panca con fili a piombo sui lati con una livella ad acqua al centro che permetteva di misurare la pendenza del terreno e verificare la direzione del flusso basandosi su tacche graduate;
- Il dioptra, una livella più sofisticata che, appoggiata a terra, permetteva di regolare per angolatura e rotazione con un mirino l’inclinazione del tratto di acquedotto, e che ricorda il moderno teodolite, uno strumento ottico a cannocchiale per i rilievi topografici e geodetici.
- un ponte o un viadotto per oltrepassare il salto mantenendo però il canale sotterrane, ovvero scavato al loro interno;
- un "sifone invertito”, ovvero si sfruttava la forza di gravità generata dalla cascata d’acqua per farla risalire sul lato opposto. In generale, poco prima del salto si costruiva una cisterna di raccolta da cui si faceva scendere l’acqua per gravità. Spesso per ridurre l’altezza massima del salto e diminuire la pressione necessaria alla risalita dall’altro lato veniva costruito un piccolo viadotto.
Acquedotti romani e società
È importante evidenziare anche l’aspetto “sociale” e politico dell’acqua a Roma. L’approvvigionamento di acqua potabile da sempre è un simbolo di avanzamento culturale e sociale, tanto che la costruzione di acquedotti anche nell’antica Roma diventò essenziale perfino a livello politico per i Censori e gli Imperatori che li fecero costruire. Queste opere pubbliche infatti erano utilizzate anche come mezzo per portare dalla propria parte i plebei, i patrizi e tutta la popolazione della città. Inizialmente l’acqua era offerta come servizio pubblico accessibile a tutti nei vari sbocchi dell’acquedotto, i castellum, chiamati così proprio perché la loro struttura ricordava un castello. Nei secoli poi, oltre ai castellum iniziarono a essere presenti degli sbocchi privati nelle Domus dei patrizi o dei senatori, soggetti a tributi, e anche alle terme, ad esempio uno sbocco dell’Anio Vetus alimentava le terme di Caracalla, o per scopi ludici, come l’Aqua Asletina che serviva anche per allagare la Naumachia, il circo a forma di ellisse in cui venivano svolte le famose battaglie navali romane, situato tra le attuali piazze San Cosimato e Santa Maria. In particolare, secondo Frontino l’acqua di Roma nei secoli venne distribuita fra tre destinatari:- il 44% a usus publicus
- il 38% ai privati
- il 17% nomine Caesaris (per l’Imperatore).